In Risposta alla lettera aperta di Luigi Marattin

Il Comitato Acqua Pubblica di Ferrara risponde all’Assessore al Bilancio del Comune di Ferrara:

Caro assessore Marattin,

rispondiamo in maniera puntuale alle domande poste, evitando commenti alla sua inutile considerazione sulle nostre forme di battaglia politica, semplicemente ricordandole che la manifestazione di lunedì 14, in occasione della discussione in Consiglio comunale di un ordine del giorno inerente il risultato referendario sull’acqua, è stata organizzata dagli attivisti del Comitato chiedendo tutte le autorizzazioni del caso, dandone diffusione attraverso la stampa, e adottando le nostre usuali forme di mobilitazione pacifiche e colorate. In analoghe occasioni passate queste modalità non erano state oggetto di pratiche di censura e autoritarismo. Fatta salva la discrezionalità di applicazione del regolamento comunale da parte dell’istituzione, registriamo un cambio di clima che certo non mira al coinvolgimento della  popolazione.

Domande giuridiche

1. Lo sapevate che quello che voi chiedete in Comune a Ferrara è stato già dichiarato incostituzionale?

Sui tempi/costi di lavoro della locale Commissione statuto preferiamo non commentare, ci basta ricordare che  la petizione popolare di modifica dello statuto comunale promossa dal Comitato, protocollata nel febbraio 2009, è stata discussa dopo due anni e mezzo, a fronte dei 60 giorni previsti sempre da regolamento comunale (il quale  evidentemente viene applicato con solerzia differenziata).

La citata sentenza della Corte Costituzionale (187/2011) è basata sulla precedente (325/2010). Entrambe si fondano sul fatto che, avendo già lo Stato inserito il servizio idrico tra quelli di rilevanza economica, una Regione non può esprimersi in senso contrario. Ma la legge dello Stato citata da entrambe le sentenze è l’art.23 bis, abrogato con i referendum di giugno (primo quesito). Un eventuale ricorso, effettuato oggi, non potrebbe avere lo stesso esito, perché il referendum ha, de facto, superato le radici di quella sentenza. In aggiunta, informiamo l’assessore che diverse centinaia di comuni in giro per l’Italia hanno da tempo approvato analoghe modifiche al proprio statuto. Infatti dopo l’abrogazione referendaria con il primo quesito, la rilevanza economica del servizio deve essere qualificata caso per caso dagli enti locali affidanti (i Comuni!), come da parere della Sezione regionale della Corte dei Conti della Lombardia  (sentenza 195/2009).

2. Dato che il testo unico degli enti locali rimane in vigore, e considerato che esso rappresenta la stella polare per l’azione amministrativa, cosa pensate al riguardo?

Il quesito sull’abolizione della remunerazione del capitale (secondo quesito), sul quale si sta per avviare la campagna nazionale di “obbedienza civile”, è stato dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale con specifica sentenza (26/2011), che al proposito è talmente chiara che non necessita di interpretazione: mediante l’eliminazione del riferimento al criterio della «adeguatezza della remunerazione del capitale investito», si persegue, chiaramente, la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua. […] Infine, la normativa residua, immediatamente applicabile (sentenza n. 32 del 1993), data proprio dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, non presenta elementi di contraddittorietà, persistendo la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio“chi inquina paga”».

Infine, va ricordato che il referendum può abrogare esplicitamente solo leggi ordinarie o atti aventi valore di legge ma questo non significa che atti derivanti (direttamente o indirettamente) o collegabili a norme abrogate non ne risentano. E’ il caso del TUEL (Testo unico degli enti locali) che si vede recise le radici per ciò che attiene il servizio idrico e sarà invece applicabile per gli altri servizi pubblici.

Domande economiche

3. Perché volete che a gestire l’acqua siano aziende pubbliche, per poi causarne nei fatti il fallimento?

La supponenza su quello che noi “indecorosi” attivisti del Comitato acqua vorremmo deborda al punto da  metterci in bocca idee che non abbiamo mai espresso, così come del resto l’assessore si arroga il diritto  di salire in cattedra anche su quello che vogliono gli italiani tutti. Detto questo, è  la stessa Federutilty che, nel documento del maggio 2010 “ Investimenti nel settore idrico: superamento del gap infrastrutturale e contributo per uscire dalla crisi”, è costretta a riconoscere che “l’ingente fabbisogno finanziario di cui necessita il sistema non può far carico unicamente alla leva tariffaria in quanto incapace di generare in tempi brevi le risorse per fare fronte al debito”. Per avviare un ciclo di investimenti significativo dal punto di vista delle risorse impiegate e certo nei suoi risultati, occorre progettare un nuovo sistema di finanziamento, che superi il meccanismo del full cost recovery e che sia invece basato sul ruolo fondamentale, oltre che della leva tariffaria, della finanza pubblica e della fiscalità generale. L’alternativa a quest’approccio sarebbe quella di incrementi tariffari del tutto insostenibili, ben al di là di quanto previsto dallo stesso metodo normalizzato del 1996 e da quelli già significativi realizzati con la scelta delle privatizzazioni di questi anni. Occorre dunque mettere in campo una nuova ipotesi strategica se effettivamente si vogliono realizzare gli investimenti necessari all’ammodernamento del servizio idrico e, soprattutto, per  affrontare in modo strutturale il tema della riduzione delle perdite di rete. Solo l’intervento pubblico è in grado di cimentarsi con tale questione. Per questo il Forum nazionale dell’acqua  propone un Piano straordinario di investimenti nel settore idrico che, oltre ad utilizzare pienamente le risorse già disponibili dall’iniziativa pubblica, a partire dai finanziamenti provenienti dalla UE, non può che passare sia dalla ridefinizione del meccanismo tariffario che dalla messa a disposizione di nuove risorse pubbliche. E che, dunque, non può essere concepito se non dentro ad un quadro di nuova gestione pubblica del servizio, se non altro per non incorrere nel sistema sanzionatorio dell’UE.

4. Lo sapevate che l’Emilia Romagna non adotta il metodo del 7%?

Lo sa, caro assessore,  che i soggetti gestori dell’Emilia Romagna applicano un sistema tariffario elaborato su base regionale che è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale?

Domande politiche

5. Invece di favoleggiare di un mondo che non esiste (e che in ultima analisi danneggerebbe proprio il settore pubblico che voi volete proteggere), non ritenete prioritario chiedere che venga al più presto costituita un’Autorità di Regolamentazione in grado di fissare le tariffe sulla base di un metodo nuovo che garantisca agli utenti qualità e investimenti, lasciando gestire il servizio idrico all’operatore che si dimostri migliore (pubblico, privato o misto che sia)?

Proprio gli anni di gestione privata hanno mostrato, in Italia e nel resto del mondo che non esiste un operatore privato migliore da scegliere: primo, perché di fatto non si può scegliere e secondo perché in materia di servizi pubblici non è assecondabile la logica del profitto. Il servizio va offerto perché serve e non perché rende. Questa è, come lei giustamente titola, una questione politica. Rifuggiamo da una Agenzia nazionale che dovrebbe fissare norme e tariffe ad operatori privati inseriti in contesti diversi, perché sappiamo che sarebbe puro fumo negli occhi.

Sulle Autorità di regolamentazione in generale si rimanda alla puntata di Report del 14 novembre 2010 (intitolata “Il debole dell’autorità”); mentre per l’autorità dell’acqua in particolare, si ricordano le recenti intercettazioni telefoniche tra Valter Lavitola e il tecnico candidato a dirigere la neonata Agenzia delle Acque, Roberto Guercio (pubblicate sul FQ del 7 settembre 2011). Se c’è una chimera è proprio quella che restringendo il potere in pochissime mani (coloro che occupano le poltrone delle Autorità “indipendenti”) si faccia il bene dei cittadini. E non si tratta nemmeno di un problema solo italiano: se si va a vedere ad esempio l’autorità inglese di controllo delle risorse idriche, si capisce che non se la passa molto meglio in quanto a capacità di controllo e giudizio indipendente (http://www.psiru.org/publications?type=report). Tutto all’opposto, una gestione attraverso enti di diritto pubblico, con la partecipazione di utenti e lavoratori del servizio idrico, permetterà l’effettiva trasparenza amministrativa, un servizio equo quanto efficiente, che non genera profitti per pochi ma benefici per la collettività e per l’ecosistema.

6. In un momento così drammatico per la finanza pubblica del Paese, ritenete responsabile tale atteggiamento?

Innanzitutto i cittadini hanno già espresso il proprio parere, dicendo chiaramente che tipo di servizio vogliono,  cioè pubblico, sempre che la democrazia non sia diventata un’opinione in questo Paese! A farsi interprete concreto di quel risultato ad oggi è il solo Comune di Napoli (giunta De Magistris), che il 26 ottobre scorso con una delibera ha ripubblicizzato l’azienda dell’acqua (da Arin Spa a Acqua Bene Comune Napoli) e introdotto uno statuto che prevede la partecipazione della cittadinanza attiva agli organi di governo dell’azienda speciale a carattere totalmente pubblico.

In termini tecnici, l’accademia dei professori, che tenta di giustificare lacrime e sangue sui diritti fondamentali dei cittadini, non incanta più. Se vogliamo stare ai dati, in termini trattabili sulla stampa, dalla relazione CoViRI 2007 con riferimento ad una studio condotto dall’OECD nel 2006 e da altri sviluppati negli USA e in Gran Bretagna,  risulta che i valori di investimento previsto estrapolati per l’Italia (33 euro/ab/anno) sono un po’ meno della metà di quelli previsti per l’Inghilterra e il Galles (80 euro/ab/anno) e addirittura poco più di un terzo del massimo previsto per gli USA ( 72-114 euro/ab/anno). Lo stesso studio mette in relazione il fabbisogno di investimenti in termini di % sul PIL, distinguendo i Paesi in fasce di reddito. Ebbene, il valore degli investimenti medi annui previsti per il servizio idrico nel nostro Paese (2 mld euro) rispetto al PIL è pari allo 0,15%, che è meno della metà del valore minimo indicato per i Paesi ad alto reddito (0,35- 1,20%). Se poi vogliamo stare agli investimenti realizzati, da una elaborazione del CoViRi su dati di fonte ISTAT, riportata da uno studio del Dipartimento per le politiche di sviluppo del Ministero dello Sviluppo Economico si ricava che gli investimenti nel settore idrico sono caduti di oltre il 70% nel corso del decennio terminante al 2000, flettendo da circa 2 mld di euro annui dell’inizio degli anni ’90 a circa 600 milioni annui alla fine dello stesso decennio. E’ questo il periodo in cui si attua la “grande trasformazione” dalle gestioni delle Aziende municipalizzate al nuovo assetto fondato sulla gestione da parte delle società di capitali, periodo in cui tramonta il ruolo della finanza e dell’intervento pubblico al quale, evidentemente, non supplisce il ricorso al finanziamento tramite le tariffe e al ruolo del mercato e dei soggetti privati.

Riteniamo pertanto altamente responsabile che in un momento drammatico come questo le scelte del governo vadano in direzione della garanzia di un bene fondamentale come quello dell’acqua, attuando una manovra correttiva per esempio sul settore della difesa che invece pare non sentire aria di crisi, con investimenti in continuo aumento, che anche per quest’anno superano i 20 miliardi di euro. Per ciò che riguarda il piano di investimento per il servizio idrico stimato dal CoViRi, si parla di una cifra di 60 miliardi di euro, da spalmare su circa trent’anni.

Da ultimo, siamo noi a volere rivolgerle una domanda che riteniamo dirimente.

Lo sa che con le sue argomentazioni lei sostiene posizioni che portano a non rispettare il pronunciamento di 27 milioni di cittadini, la maggioranza assoluta dei cittadini italiani che, le piaccia o meno, il 12 e 13 giugno scorsi si sono pronunciati per eliminare la remunerazione del capitale investito dalle tariffe del servizio idrico? E che contraddice le stesse conclusioni della Corte Costituzionale? Francamente, non ci sembra una grande concezione della democrazia quella di contraddire la volontà della maggioranza dei cittadini italiani e il massimo organo di garanzia del nostro ordinamento.

Tante altre cose ci sarebbero da dire.

Tuttavia, lunedì 21 alle 15.30 saremo di nuovo in  Consiglio comunale insieme a tutti i cittadini che a noi vorranno unirsi per ribadire il nostro SI’.

Comitato acqua pubblica di Ferrara

Comitato referendario 2 SI per l’acqua bene comune di Ferrara

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